Sala Ovale: sLEGAti

18 maggio 2012

Tosi non è la Lega, e la Lega non è Tosi. Potrebbe sembrare un gioco di parole, ma è il meglio che si possa dire per commentare il risultato del partito fondato da Umberto Bossi alle ultime amministrative. E' stato un crollo, e non può bastare qualche feudo lombardo-veneto (più veneto che lombardo) a cambiare il quadro della situazione. Non può bastare neanche la grande, netta e abbastanza scontata vittoria di Flavio Tosi a Verona. Lui rappresenta una Lega più istituzionale, parla poco (e malvolentieri) di Padania, è ospite quasi fisso da Gad Lerner. Tosi voleva fare la lista personale, il partito gli aveva detto no, lui rispose che ne sarebbe fregato e alla fine via Bellerio diede il via libera. Risultato? La lista Tosi ha preso più del 30 per cento dei voti, la Lega Nord il 10. La sua, insomma, è una vittoria personale. I primi mesi del 2012 sono stati un annus horribilis per i verdi padani: cerchi magici, raduni stregoneschi, sedute spiritiche nella mansarda di Gemonio, con sotto il vecchio e stanco leader dormiente. Dicevano di essere i migliori, i puri, le vergini sacre della politica. Gli altri erano tutti ladri. Loro no, intonsi e immacolati. E poi invece si scopre che ci sono cassaforti, conti in Tanzania, tesorieri affascinanti dai diamanti, cartelline con l'iscrizione "The Family". Poi c'è lui, Renzo Bossi detto il Trota, che usava l'autista personale (della Lega) come un bancomat, che si faceva portare in Slovacchia per partecipare a una festa, che trattava tutti dall'alto in basso e che millantava sui suoi studi londinesi. Anche su quelli albanesi, a dire il vero, visto che dal vaso di Pandora padano è saltato fuori pure un certificato di laurea albanese che il Trota avrebbe voluto farsi dare prima ancora di essersi diplomato. Servono commenti? No. Ma non è finita qui, perché la saga non può che concludersi con lei, la dama nera, la zarina, la badante di Bossi: Rosangela Mauro detta Rosi, leader del SinPa, il fantomatico sindacato padano. Meridionale, è riuscita a conquistarsi sempre più spazio attorno al clan Bossi, tanto da diventare (grazie a questo e solo a questo) addirittura vicepresidente del Senato. Poi, però, tutto si è squagliato. Le magagne a lungo nascoste sono esplose, tutte contemporaneamente, devastando un partito che volava a più del 10 per cento su scala nazionale e dando l'occasione all'ambiguo, ambitissimo Maroni di fare piazza pulita e di purgare le mele marce. Più che con l'addio di Berlusconi, che comunque rappresentava una scheggia impazzita della politica che non avrebbe lasciato semi sul terreno, si può dire che la Seconda Repubblica va in soffitta con la fine mesta e dolorosa della Lega.  Anche se dovesse rialzarsi e riprendersi, non sarebbe più la stessa cosa. Non sarebbe più quella delle ampolle del dio Po e dell'acqua raccolta nelle sacre sorgenti del dio Monviso.

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